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venerdì 16 novembre 2012

  COPERTINA
© foto di Giuseppe Celeste/Image Sport

STRAMA: "COM'È INIZIATA, I MIEI SEGRETI, CASSANO E QUELLA VOLTA CHE MORATTI..."

16.11.2012 10:57 di Eva A. Provenzano Twitter: @EvaAProvenzano articolo letto 3184 volte
Fonte: sette
In una lunga intervista rilasciata ad Edoardo Vigna al settimanale ‘Sette’, Andrea Stramaccioni ha parlato di sé e della sua carriera, dell’Inter. Di come tutto è iniziato. Aveva dovuto rinunciare alla sua carriera da calciatore. Allenava su quei campetti di terra che ti riconciliano con il calcio, poi è arrivata la Roma di Bruno Conti che gli affida gli esordienti del ’94: “Dopo qualche giorno mi ha chiamato e mi ha detto che non andavo bene per allenare quella squadra, pensavo mi volesse cacciare e invece mi affidò i giovanissimi, è stato un salto di due classi”.
SIGNIFICATO - Il suo arrivo sulla panchina nerazzurra per lui è un messaggio preciso: “Significa che anche in Italia uno che non è un giocatore famoso, né figlio di chissà chi può arrivare a guidare una grande squadra. So che conta molto l’esperienza, ho affrontato allenatori come Zeman e avventura che allenavano quando io manco ero nato. Ad aiutarmi è stata l’esperienza come osservatore di club professionistici, lo studio dei giocatori, quello che appuntavo e scrivevo, mi aiuta molto. Sono uno che impara velocemente”, dice.
EDUCAZIONE - I suoi genitori gli hanno insegnato l’educazione: “E nessuno potrà mai cancellare quello che mi hanno spiegato. Io e mio fratello siamo cresciuti con principi chiari e semplici, ma non ci è mai mancato nulla. Dovevamo avere rispetto per tutto e in ogni cosa che facevamo dovevamo metterci tutto l’impegno possibile”, racconta il mister.
IL DESTINO - Un ragazzo cresciuto in fretta purtroppo anche a causa di quell’infortunio al ginocchio che lo ha costretto a lasciare il calcio giocato: “Si è infranto di colpo tutto. Sognavo la Serie A, volevo giocare. Anche adesso quando do calci al pallone il ginocchio si gonfia. Ero ingrassato di molto, ma ne sono uscito grazie ai miei e grazie allo studio”, spiega. Da lì la Laurea in Giurisprudenza: “E’ importante avere un metodo, seguirlo. Lo studio conta molto, la scuola superiore – almeno quella va finita – lo dico sempre ai miei ragazzi”.
IL CAPITANO - Tra di loro ce n’è uno più giovane degli altri nonostante l’età: il capitano Javier Zanetti. “Lui – spiega il tecnico – è al di là dell’umano. E’ il primo ad arrivare, l’ultimo ad andarsene, si ferma a fare la ginnastica post allenamento. Credo sia questo il suo segreto di venti anni all’Inter. Gioca ogni partita come se  fosse la prima o l’ultima”.
SEGRETO - Invece il suo segreto è la chiarezza nei modi e degli intenti: “Magari un giorno uno dei miei ragazzi mi incontra e mi dice che non capivo un ca… di calcio, ma mai nessuno potrà dirmi che non ero sincero. Tratto tutti in maniera diretta. Pure Cassano? Io e lui parliamo la stessa lingua, quella della strada”.
W LA MAMMA - Sulla sua l’ha indirizzato la mamma che gli diceva che avrebbe potuto comunque restare nel calcio, la sua laurea in Giurisprudenza poteva servirgli a fare il procuratore: “Chiedeva al mio agente di trovarmi un lavoro, di farmi insegnare ai ragazzi e mi hanno indirizzato a questa scuola di Monte Sacro, un borgo di Roma, dove giocava l’Az sport. Mi davano duecento euro al mese di rimborso spese, allenavo dieci ragazzi dell’85 e non avevamo neanche i palloni. L’anno dopo attirammo l’attenzione di tutti”.
L'UOMO GIUSTO - E anche l’Inter l’ha ereditata in un momento difficile: lui aveva appena regalato alla Primavera nerazzurra la prima Next Generation Series, Moratti decise che era l’uomo giusto per trascinare la sua squadra. Tutti gli dicevano di non accettare: “Mi è successa la stessa cosa con Cassano. Mi dicevano che non dovevo prenderlo se volevo andare bene. Ma se sono convinta di una cosa allora vuol dire che vedo cose che gli altri non vedono. L’allenatore trasmette le sue idee alla squadra e questo fa la differenza, se non sono bravo a trasmetterle è inutile, ma tutto sta ai giocatori, sono loro che scendono in campo. Mourinho è l’esempio di quello che dico. Purtroppo non l’ho mai visto allenare, ho visto il risultato finale. Quando alleni una squadra che ha giocatori giovani e più anziani devi capire come fare a gestirli, non possono essere allenati allo stesso modo, non ci sono gli stessi carichi e non ci sono libri per impararlo”, sottolinea.ù
QUELLA VOLTA CHE - Infine l’allenatore racconta cosa è successo quel giorno nell’ufficio del presidente Moratti: “Io ho il mio carattere e quello non cambia, sono sempre me stesso, ovunque vada, con chiunque io parli. Almeno si capisce che sono vero e credo che questo sia piaciuto al presidente. Quando mi ha chiamato siamo stati due ore a parlare, mi ha messo un foglio davanti e mi ha detto di dirgli tutto quello che pensavo dell’Inter. E io ho risposto che potevo parlargli del campionato Primavera e con sincerità gli ho detto che non avevo visto tante volte la prima squadra, spesso giocavamo agli stessi orari e che non andavo a rivedere le partite in tv. E lui mi ha risposto, non conta quello che dicono gli altri e cosa pensano. Tu sei il nuovo allenatore dell’Inter”. Era solo la prima scintilla. 

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